Uno spazio scarno e impersonale come il tetto di un grattacielo che domina una downtown da qualche parte del mondo è il non-luogo perfetto per ambientare il labirinto di relazioni sconnesse tra un gruppo di impiegati che sembrano usciti da una puntata di “Mad men”. “Quel” limbo si trova sospeso tra il dentro e il fuori, il bene e il male, ed è l’allegoria perfetta dell’evasione dalle regole, pur standone all’interno. Come la trasgressione del divieto del fumo, che sul tetto non solo diventa norma, ma quasi obbligo.

E’ su questa scacchiera che Sergi Belbel, uno dei principali autori spagnoli contemporanei, muove i suoi pezzi, tra dialoghi surreali e apparentemente privi di senso, e situazioni al limite del verosimile, ma sempre trasudanti umanità, ben espresse dalla riduzione del “Teatro delle Crisi”. Un microcosmo in cui i personaggi si muovono in un sistema di porte girevoli, come in un grottesco “Grand Hotel”, fatto di paure, nevrosi, follie, ambizioni e frustrazioni inconfessabili. La morsa dei dialoghi si stringe poco a poco e alla fine il linguaggio stesso si fa oggetto trascinando tutti da qualche “altra” parte; e dopo decine di sigarette, di tradimenti, cinismi, amori per gioco e per distrazione ecco la catarsi, qui sintetizzata nella pioggia immanente che, come Robert Altman nel terremoto di “America oggi”, fissa in un’istantanea le “nuove” vite dei personaggi.

E a proposito di protagonisti, come spiegare il lavoro degli otto bravissimi attori della compagnia torinese diretti da Cristiano Falcomer che per oltre un anno hanno partecipato con dedizione sacrale alla buona riuscita di uno spettacolo –speriamo di essere contraddetti- nato per essere rappresentato in un singolo spettacolo? L’amore spassionato per il teatro e il conseguente sacrificio dell’effimero, ripagati dallo scrosciante e interminabile applauso finale, è l’unica risposta possibile, ma davvero ne è valsa la pena.

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