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Il cinema di Mungiu colpisce per la sua potenza espressiva fatta di inquadrature lunghe e ipnotiche e da una recitazione realistica dominata da dialoghi che diventano parossistici e contraddittori.

Dopo l’asciutto “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” e il sarcastico “Racconti dell’età dell’oro“, “Oltre le colline“, il suo ultimo lavoro premiato a Cannes come migliore sceneggiatura e migliori attrici, compie un passo verso un cinema più spiccatamente europeo, meno intriso di gusto localistico e più incline a prerogative autoriali di grande respiro.

Una comunità ortodossa femminile guidata da un austero sacerdote ospita una laica, amica (vecchia compagna di orfanotrofio) di una delle monache del monastero. Le dinamiche tra le due e verso l’esterno sono distruttive e porteranno alla dissoluzione di un microcosmo votato, per sua natura, al rifiuto del mondo esterno ma che da questo mondo non ha nulla da imparare in materia di etica.

È proprio questa la tesi, coraggiosa, onesta intellettualmente dobbiamo riconoscerlo, che supera la facile critica ad una struttura religiosa di stampo medievale e fondamentalmente priva di alcun senso sociale, con la sua totale chiusura alla modernità, le sue regole, i suoi metodi che puzzano di superstizioni e soprusi; la supera, dicevamo, facendoci intravedere la devastante realtà esterna, le istituzioni di uno stato che si suppone laico e moderno per capirci, e nella fattispecie ospedali, questura e orfanotrofio, ma che in realtà non è in grado di sopperire alle carenze culturali e alle istanze sociali del paese.

Nella clinica i malati vengono legati, dormono in due in un letto, in stanze simili alle celle del monastero, con le stesse icone alle pareti e gli stessi riti, più psico-magici (per dirla come Jodorowskj) che scientifici. Il medico è uno stregone che chiede preghiere in cambio di una ricetta e che pone domande intrise di inutile burocrazia. In questura, analogamente, l’automatica successione di domande si mescola a discorsi di superstizione che poco hanno anche fare con la auspicabile professionalità di un servitore dello Stato.
Nell’orfanotrofio si perpetrano stupri, abusi di ogni genere e le poche adozioni sembrano piuttosto assunzioni di aiutanti domestiche che investimenti affettivi.

E lo stesso monastero mescola il sacro (il misticismo, la preghiera, l’espiazione) al profano, simboleggiato dall’applicazione burocratica di regole (i 33 inchini alla Madonna citano il numero che di solito è prerogativa dei medici), questionari (stimola il sorriso la geniale e ironica descrizione dei 400 peccati e più da spuntare dall’apposito quadernetto in una surreale ricostruzione di stampo almodovariano) e da esorcismi maldestri che rimandano ai periodi più oscuri del mondo occidentale.

Una chiesa intrisa di burocrazia e uno stato pervaso da perniciosa religiosità: ecco le commistioni mortifere di una società allo sfascio che Mungiu riesce a descrivere con equilibrio e sagacia.

Oltre le colline” è un film colto che si presta a letture complesse ma mai intellettualistiche, che non annoia e che colpisce per la sua lucida visione del mondo, anche se cinica e desolante.