Cine argentino

Victor lavora di notte, e non fa un mestiere qualunque. Si prostituisce, prima per strada poi nei quartieri di lusso di Buenos Aires; ma arrotonda anche come piccolo spacciatore per pochi amici fidati. E’ taciturno ma non appare triste, coerentemente con la sua scelta di vita, e talvolta sembra compiacersene. I suoi “clienti” sono in fondo brave persone, come quel commissario che lo incontra tutti i giovedì o quei signori dell’alta società che lo frequentano in una sauna.

La notte è ricca di incontri e sembra non finire mai, fra ragazzini che rovistano tra i sacchi della spazzatura e il trans truccato da Margaret Thatcher, per chi mai volesse approffittarsi della ex lady di ferro britannica, e in Argentina probabilmente non sono in pochi. Insomma, freddo realismo sociale tipico di certo cinema sudamericano, scevro di compiacimenti formali e velleità moralistiche, aiutato da un’ottima presa diretta che costruisce un tappeto sonoro metropolitano davvero coinvolgente. Il traffico, le luci e la vita dei borderline si respira, si odora quasi, e la poca musica di sottofondo è contestualizzata al racconto.

Ma il valore aggiunto alla pellicola di Edgardo Cozarinsky è il progressivo, spesso impercettibile, scivolare onirico del protagonista con gli occhi del quale lo spettatore vive un’esperienza sempre più surreale. Ovvi i rimandi a “Fuori orario” di Scorsese anche se con meno spazio al grottesco e certamente meno ironia: qui, piuttosto, si materializzano fantasmi del passato che interagiscono con Victor e ci permettono di curiosare nel suo inconscio e di comprenderne le scelte.

Come in una fiaba noir, l’alba riporta tutto alla realtà e il gomitolo di sogni e visioni alterate, caso e necessità, si dissolve, almeno fino alla notte successiva.

Fabrizio Dividi