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“Tra la terra e il cielo”, il bel film di Neeraj Ghaywan, vincitore della sezione “Un Certain Regard” di Cannes 2015, ci racconta due vicende parallele, le storie speculari di due giovani alle prese con la propria quotidianità fatta di tradizioni, famiglia, zavorre culturali. Ma anche di voglia di futuro, tenacia e bisogno di modernità, tra dramma, speranza e sentimento. Il tutto girato con garbo e malizia (quanto basta), tanto da rendere il film piacevole e colto allo stesso tempo.
“Masaan” ci parla soprattutto di barriere, soglie più o meno simboliche, per lo più invalicabili: come i gath sul Gange che separano le caste, e i quartieri che denotano in maniera inequivocabile le classi di appartenenza di chi vi abita. Ma anche di confini atavici che contrappongono tradizioni a tecnologia, corruzione a etica, cultura a ignoranza.
“Tra la terra e il cielo” ci mostra infine come l’India di oggi sia attraversata da flussi sempre in movimento. Il Gange, ovviamente, la parte ancestrale che sublima le pulsioni mistiche e tradizionaliste. Le reti di comunicazione (binari ferroviari ma anche web e social network in continua evoluzione) che provvedono alle necessità tecnologiche e moderniste. E un terzo fiume, sotterraneo e immanente, vero motore delle azioni umane: quel denaro che contabilizza la distanza tra esseri umani e che ne determina presente e futuro attraverso ricatti, scommesse, vendite, regali e salari fino a fissare il valore stesso delle persone.
C’era già tutto nel titolo con cui è stato tradotto, per una volta, felicemente. “Tra la terra e il cielo” si pone in quello spazio ideale tra contraddizioni apparentemente inconciliabili. Ed è proprio in questo equilibrio che si manifesta l’anima più profonda dell’India; in particolare in quel termine, “karma”, spesso abusato, e in cui risiede in misto di destino, né troppo mistico né troppo umano, in una sorta di impalpabile collante fatto di equilibrio, fato e ineluttabilità.