Film mongolia K

Leggendo il castello” di Kafka si rimane affascinati dalle imperscrutabili dinamiche del potere. Un film come “L’udienza” aveva colto nel segno il senso generale del libro convertendo la chiave angosciante e tetra di Kafka in una lievità surreale perfettamente impersonata dalla maschera keatoniana di Enzo Jannacci.
In “K”, di D. Erdenibulag, la sfida di una rivisitazione dello scrittore di Praga da parte di un regista della Mongolia deve essere stata davvero ardua, visto il risultato, poco lineare e purtroppo al di sotto delle aspettative.
La letterarietà del testo viene deviata talvolta in curiose macchiette, altre in logorroici dialoghi sentimentali, forse per conferire un tono più accomodante al film. Purtroppo, tra momenti di stanca e di ripetizioni fini a se stessi (avrei voluto vedere Bela Tarr occuparsi del soggetto), il film non decolla, avviluppandosi in un percorso cifrato fatto di noia e in-azione. Anche dal punto di vista sperimentalistico, il regista è d’altronde molto giovane e non è da tutti occuparsi di cinema ad alti livello da quelle parti, è poco sviluppato, lasciando a poche fantasie visionarie gli unici momenti veramente interessanti della pellicola.
Ne rimane un film lungo, fatto di monotoni primi piani che ha però almeno un paio di motivo d’interesse. La recitazione, in alcuni casi davvero all’altezza e in qualche frangente addirittura di alto valore attoriale (il vecchio segretario del Sindaco ricorda il Salvo Randone feticcio di Elio Petri). E la indubbia bizzarria di alcuni momenti, come l’uso di canzoni anni 30 totalmente spiazzanti e autoironiche. Forse non è molto ma sicruamente può bastare per un film a suo modo unico, da apprezzare comunque per il suo coraggio.