image

Nel coreano “End of winter”, “Cheol won gi haeng” il regista Kim Dae-hwan affronta il tema della famiglia, tanto caro al cinema orientale, e lo fa con uno stile così equilibrato e meditativo da evocare il Koreeda di “Aruitemo Aruitemo”, senza andare a ripescare impropriamente l’archetipo di “Viaggio a Tokyo”. Una famiglia si ritrova per festeggiare il padre, un insegnante, nel giorno del suo pensionamento e si trova a far fronte alla sua decisione di chiedere divorzio e andare a vivere per conto proprio. Come si può immaginare le la notizia fa deflagrare situazioni latenti, ma il tutto viene gestito con silenzi e attese che fanno maturare lentamente tutti i membri della famiglia. Il film è fatto perlopiù di lunghe inquadrature del gruppo, padre, madre, due figli e nuora, che viene spiato a tavola e nelle loro conversazioni, tanto scarne quanto necessarie. Solo in rari casi, sempre nei momenti decisivi, il regista decide di affidarsi a figure più esteticamente ricercate, ma sempre funzionali al racconto. Penso ad alcuni campi lunghi che fissano i membri della famiglia intenti a camminare nella neve, punti neri in ordine sparso che rappresentano plasticamente loro divisioni; e soprattutto ai carrelli, laterali o in avanti che seguono sempre le poche ma sostanziali situazioni di cambiamento in atto. Il giovane regista inoltre decide di affidarsi a foto di gruppo che in diverse occasioni si ripresentano nel film. Le resistenze ad entrare nell’inquadratura, le espressioni dei protagonisti e la presenza o l’assenza di questo o quel personaggio, diventano una sorta di coro visuale che periodicamente ci informa sullo “stato delle cose”. Sempre a proposito dei personaggi, tutti straordinariamente compresi, meritano un cenno la moglie, con la sua dignitosa rabbia, e il protagonista, mr. Kim, che decide di affidare al silenzio le uniche spiegazioni alla sua decisione, in ovvio contrasto con l’uso ossessivo dei telefoni dei figli. Merita un cenno la localizzazione della storia. Un paese sperduto tra le due Coree, spazzato dalla neve e spezzato dai camion carichi di militari. Come afferma il regista, presente alla proiezione alla Berlinale, la divisione tra pari è la metafora che egli stesso ha voluto comunicare. Uno spazio fisico e mentale congelato nella Storia che solo la “fine dell’inverno” potrà riscaldare e far rivivere.