Ci sono due modi per valutare “Under the skin” di Jonatan Glazer. Se lo si considerasse un film autoriale, come il trailer allude, accostando il nome del giovane regista di “Io sono Sean” a quello di Stanley K. (per non reiterarne la blasfemia non ne nomineremo il cognome), il giudizio sarebbe impietoso. Lento, ripetitivo e –soprattutto- pretenzioso e affetto da una sindrome da citazione al limite del patologico.

Le potenzialità registiche sono senz’altro notevoli, figlie della dimestichezza di Glazer con gli spot girati a inizio carriera: è apprezzabile l’uso di una fotografia plumbea e di un montaggio schizofrenico accompagnati da un tappeto sonoro sincopato e da inquadrature mobili sospese che inquietano. Anche i temi toccati sono interessanti e coinvolgono seppur solo in superficie: come alcune riflessioni sulla bellezza, mera maschera esteriore, e su una banalità del male che sembra pervadere inesorabilmente il genere umano. Il film purtroppo si trascina con lentezza esasperante per tutta la sua parte centrale, e non bastano le inquadrature furbissime e una Scarlett Johansson in versione dark che contribuiscono comunque a tenere alta la tensione narrativa.

Ma è considerandolo un piccolo film di genere che “Under the skin” guadagna posizioni e pregio. Fantascienza e horror, si sa, sono materia di cultori, talvolta di bocca buona (anche troppo): appassionati capaci di digerire di tutto a partire da quei mitici Anni ’50 che hanno portato migliaia di spettatori al cinema con film meravigliosamente bizzarri popolati di mostri, alieni, tarantole e aragoste giganti.  Una produzione sterminata, di un genere spesso sottovalutato, che ha saputo però formare registi di pregio come Robert Wise, George Lucas, Peter Jackson, Sam Raimi, Steven Spielberg e tanti altri.

“Under the skin” va commisurato per quel che è: un discreto b-movie, senza pretese e qualitativamente ben oltre la media del genere. Gli stilemi lo dimostrano e ci sono tutti. Il mostro, il tema della bella e la bestia, gli specchi, le ombre, la mutazione e quel tocco di indeterminato che fece la fortuna del cinema horror grottesco spagnolo e italiano degli Anni ’60 (da Franco a Bava).

Un sano bagno di umiltà non farebbe che valorizzare un buon prodotto ma per favore, lasciamo che i maestri riposino in pace.